LA CITTA' DI COMACCHIO
COMACCHIO
Chi visita per la prima volta Comacchio, per qualche istante crede di trovarsi nel capoluogo veneto. Non a caso questa città viene definita la “piccola Venezia”, per via dei mille canali che la dividono e i ponti che la uniscono.
Città a vocazione balneare con i lidi ferraresi, Comacchio è anche il luogo ideale di chi ama la natura: grazie alle Valli di Comacchio e al Delta del Po. Il centro storico, poi, conquista i turisti con alcuni monumenti simbolo tra cui il complesso del Trepponti.
LA STORIA DI COMACCHIO
Per tornare alle origini di Comacchio bisogna riportare l’orologio indietro di circa due millenni. Gli Etruschi la fondarono sui tredici isolotti che ancora costituiscono il fulcro della città. Nei secoli seguenti si trovò prima sotto il dominio dell’Esarcato d’Italia, e in seguito dei Longobardi. Comacchio nel Medioevo raggiunse una potenza tale da concorrere con Venezia per il controllo dell’Adriatico. Con l’arrivo degli Estensi la città acquisì un nuovo vigore culturale. Il 1821 è un anno importante: per la prima volta Comacchio fu collegata alla terraferma e perse la sua natura insulare.
COSA VEDERE A COMACCHIO
Abbiamo già citato il complesso del Trepponti, simbolo della città ed emblema dei comacchiesi: “sospesi” sulle acque dei canali, ma con le radici ben aggrappate alla propria storia. Il Trepponti, infatti, risale al XVII secolo ed è il punto di partenza per interessanti itinerari alla scoperta della città. A piedi o a borgo delle batane, imbarcazioni storiche che solcano i canali comacchiesi.
Tra le cose da vedere a Comacchio spicca Palazzo Bellini, costruzione risalente al XIX secolo e sede della Galleria d’Arte Moderna. Non molto lontano sorge il Duomo, la cui versione originaria fu realizzata nell’VIII secolo.
Si erge nel cielo del centro la Torre dell’Orologio, che scandisce il tempo a Comacchio, e che di Comacchio rievoca i tempi passati. Ma a ricordarci la lunga storia della città c’è anche il Museo del Carico della Nave Romana, rinvenuta casualmente nel 1981.
DALLA CULTURA ALLA NATURA
A Comacchio è facile passare dalle attrazioni storiche a quelle naturalistiche del Delta del Po. Nel giro di pochi chilometri, infatti, l’arte e la storia cedono il passo al fascino della natura. Nelle Valli di Comacchio è ancora possibile entrare in contatto con la realtà dei pescatori locali, e conoscere a fondo un’attività per fortuna sopravvissuta fino ai giorni nostri.
L’entroterra comacchiese è caratterizzato dal Delta del Po, in cui vivono o transitano quasi 400 specie di uccelli acquatici. Non a caso da qualche anno è divenuta la terra del birdwatching!
La nuova frontiera balneare dell’Adriatico
Comacchio ha avuto il merito di togliere il “monopolio” del turismo estivo alla Riviera Adriatica, e di portare ogni anno migliaia di bagnanti lungo i lidi ferraresi. Le sette frazioni che s’affacciano sul mare offrono strutture in grado di far divertire giovani, adulti e intere famiglie. Ogni lido ha le sue peculiarità, ma tutti sono all’insegna della massima ospitalità. La vocazione turistica dei comacchiesi è stata più volte premiata dalle Bandiere Blu per la qualità del mare.
Comacchio e l’anguilla: un binomio indissolubile
Nell’immaginario collettivo Comacchio è associata all’anguilla. Ancora oggi primeggia nei menù dei ristoranti locali e impegna molti pescatori e allevatori locali. A suggellare questo pesce ogni anno ci pensa la Sagra dell’Anguilla. Il piatto tipico è l’anguilla in umido, che ben si sposa con le altre pietanze locali e il vino Bosco Eliceo.
NAVE ROMANA A COMACCHIO
Il relitto è stato scoperto casualmente nell'autunno del 1980, in occasione di lavori di dragaggio del principale canale collettore di Valle Ponti, a poche centinaia di metri da Comacchio.
E' stato oggetto di campagne di scavo, curate dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna, dal 1981 a tutto il 1989, anno in cui lo scafo fu definitivamente recuperato e alloggiato in una vasca di cemento realizzata nel Museo della Nave Romana, appositamente istituito dal Comune di Comacchio nel complesso di Palazzo Bellini.
L'imbarcazione, naufragata verso la fine del I secolo a.C., è particolarmente interessante per quanto riguarda la tecnica costruttiva, la strumentazione di bordo, i prodotti trasportati, i loro contenitori, gli oggetti d'uso quotidiano in navigazione, tra cui svariati indumenti, illuminanti sulla vita a bordo di una nave romana d'età augustea. Non sono invece emersi resti umani, né all'interno del relitto né nell'area circostante, supponendosi pertanto che l'equipaggio abbia abbandonato la nave, nell'approssimarsi di una probabile mareggiata; oppure che la nave, ormeggiata in un porto lungo la costa, sia stata trascinata via da un fortunale, in un momento in cui non vi erano marinai a bordo, e si sia arenata presso la spiaggia.
Altro elemento di interesse sta nel fatto che la ricchezza, in quantità e in qualità, dei reperti fa supporre che non ci siano state asportazioni nel tempo; è pertanto presumibile che l'interramento sia stato molto veloce, il che è riconducibile ad aspetti, e quindi studi, connessi con la geomorfologia e la sedimentologia del territorio litoraneo padano in epoca storica.
Fortuna Maris offre una panoramica completa dell'ambiente in cui si arenò la nave, insieme con ipotesi sulle cause del naufragio e sulle modalità del seppellimento; dà inoltre un'accurata descrizione delle complesse fasi dello scavo, della tecnica costruttiva dello scafo, della zavorra (ghiaia, ciottoli, tronchi di bosso accatastati); delle attrezzature recuperate, tra cui bozzelli, una caviglia per dare volta ai cavi, un borello per unire due cavi tra loro, un cavicchio, una sassola ottenuta da un unico blocco di legno, mazzuoli, ascia e pialla; degli utensili della cambusa, delle ceramiche, degli svariati oggetti accessori.
La nave trasportava una cospicua quantità di lingotti di piombo, contrassegnati da marchi diversi, tra cui è frequente il nome di Marco Vispanio Agrippa (morto nel 12 a.C.), che si presume venissero dalla Spagna e fossero destinati al commercio. Ma il vasellame costituisce la parte preponderante del carico: sono state rinvenute numerose anfore, bicchieri, coppe, aryballos, balsamari.
Gli oggetti in piombo di qualche pregio artistico sono rari, essendo tale metallo prevalentemente usato per la fusione, l'impressione e l'impiego di ordine pratico; eppure la nave di Comacchio trasportava sei tempietti, realizzati per saldatura o incastro di lamine di piombo prestampate, con cella interna contenente immagini di divinità. Sono evidentemente oggetti di culto popolare, forse - nel caso specifico - destinati anch'essi al commercio.
Interessante è la presenza di una stadera a due portate, probabilmente impiegata per la vendita al dettaglio della merce, che conferma l'attività commerciale cui era destinata la nave. Si compone di un'asta graduata con tre anelli - cui sono sospesi gli uncini e il piatto, sorretto da quattro catene - che termina con un occhiello, al quale era attaccato il romano, cioè il peso sferico, di bronzo fuso riempito di piombo.
La nave ha pure restituito indumenti, sacche e calzature di cuoio, che bene illustrano l'abbigliamento quotidiano della gente di bordo, tanto più interessanti perché si discostano da precedenti ritrovamenti provenienti dagli acquartieramenti militari.
Le scarpe identificate sono di cinque tipi diversi: la solea, la caliga, una sorta di calceus semplificato (forse il pero), il soccus, e il calzare doppio caliga-pero.
La solea è una calzatura essenziale, ben documentata negli ambiti civili del I secolo d.C.; è costituita da una semplice suola con infradito, usata in un primo tempo da donne e bambini, poi diffusa anche tra gli uomini, come dimostrano ritrovamenti di misure grandi, dal II secolo in poi.
La caliga è un calzare basso, formato da una serie più o meno fitta di cinturini che si ricongiungono sul collo del piede e sono fermati sul dorso con una chiusura particolare; la versione per uso militare è più alta sulla caviglia.
Il pero è una calzatura simile al calceus. Il calzare doppio è costituito da una caliga che riveste un pero morbido, come fosse una calza. Il soccus è una scarpa chiusa e morbida, come fosse una pantofola.
Numerosi gli oggetti metallici per uso vario, da tavola, da toilette, da cucina, da farmacia, di cui spesso non è chiara la funzione distinta o la datazione, perché nei rilievi e nelle fonti letterarie alcuni sembrano impiegati per più scopi, mentre la resistenza del metallo li conserva in uso per lungo tempo. Tra i vari oggetti anche tre calamai, probabilmente per la contabilità di bordo; una specie di sonda per uso medico; e un gruppo di ami di bronzo, conservati in un cestino di vimini, di misura e foggia varia, forse perché di produzione artigianale oppure da usare per tipi diversi di pesca. L'assenza di attrezzi atti alla pesca delle anguille, da sempre risorsa alimentare fondamentale nella zona del ritrovamento, fa supporre che la nave fosse in transito.
Tra gli oggetti in legno, un mortaio, unico esemplare ritrovato, sebbene più fonti li citino, realizzato manualmente da un pezzo di legno escavato, e poi decorato con incisioni all'imboccatura; alcune pissidi lavorate al tornio; cassettine realizzate con sottili assicelle piatte, ottenute con l'ausilio della pialla; lucerne provenienti dalla zona della cambusa, come indicano sul beccuccio i segni di annerimento dovuti alla combustione dello stoppino, quindi destinate alla vita di bordo anziché al commercio.